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Il ponte tra la Bosnia e il Valdarno seguendo la strada tracciata da Franco Bettoli

“I progetti condivisi hanno lasciato il loro segno su di noi, portando gioia nelle nostre vite e ci hanno fatto amare questo Paese e il suo popolo. Tutto questo è destinato a continuare”.
Un  cippo all’ingresso del centro sulle colline di Doboj Istok riporta in lingua bosniaca e in inglese una frase di Franco Bettoli, il presidente di Emmaus International che durante il devastante conflitto nella ex Jugoslavia non esitò a raggiungere quella terra martoriata  per creare un ponte di pace e portare aiuto alle vittime della guerra civile. Quei semi gettati nei primi anni ’90 si germogliarono ad aprile del 1999 con la nascita di una prima struttura per accogliere i profughi. Poco più di una dozzina di volontari con il nome originario di Luna Rossa aiutarono centinaia di rifugiati e quando finalmente tacquero le armi e iniziò il cammino complesso della Bosnia attuale, enclave musulmana circoscritta da un ferro di cavallo con prevalenza di etnia serba, divenne un punto di riferimento per anziani, persone con varie disabilità e orfani.
Il Valdarno, culla di Emmaus con la storica base di Ponticino, sulle orme di Bettoli e nelle zone in cui aveva operato, strinse un legame che coinvolse i comuni di Bucine con Doboj Istok, Pian di Scò con Petrovo, Cavriglia con Doboj, Pergine con Lukavac, Laterina con Gracanica e San Giovanni con Srebrenica.
E’ Leila Smajic, coordinatrice dei progetti del Centro Emmaus, a tracciare il quadro della situazione attuale. Oggi sono 420 gli ospiti presenti nei vari padiglioni del complesso. All’interno gli operatori si occupano di terapie occupazionali, di sostegno psicologico e cure riabilitative. Non solo, perché  a Doboj Istok chi è  autosufficiente dà una mano agli altri nelle varie attività che sono anche di produzione di formaggi, verdure, conserve e prodotti di piccolo artigianato.
Gli operatori di Emmaus, che sono riusciti a tessere una rete internazionale di collaborazioni con le Ong di diverse parti d’Europa e del mondo, lavorano anche all’esterno con le iniziative di sostegno agli anziani, attraverso l’assistenza domiciliare e alle madri di Srebrenica rimaste sole dopo il genocidio. Un supporto psicologico per chi ha subito le terribili esperienze della pulizia etnica.
Infine, ma non certo ultimi, i bambini. Gli “orfani” senza padre che sono aiutati a studiare, ben 1300 quelli adottati a distanza, e queĺli inseriti nella cosiddetta accomodazione a Srebenica. In questo caso sono 7 le casette a disposizione di 46 bimbi senza distinzione di appartenenza religiosa.
Perché l’obiettivo prioritario è superare le barriere create dalla guerra con lo studio e la convivenza.
La neve imbianca in parte le colline e la visita continua fino alla palazzina per ragazzi dagli 8 ai 16 anni. Sulla parete il cartello che ricorda la partnership con le istituzioni e fra queste spicca lo stemma di Bucine che, con l’ex sindaco Sauro Testi e la Protezione Civile, fece tesoro delle parole di Bettoli “tutto questo è destinato a continuare”.

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