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Beltrame. A metà gennaio riprende il lavoro. Fatturato in aumento. Prospettive interessanti

Di nuovo al lavoro a metà mese. Lo stabilimento Afv Beltrame di San Giovanni è pronto a rimettere in moto in macchinari per la prima campagna produttiva del 2018. Si riparte, dunque, con i 56 metalmeccanici che saranno impiegati in due turni e per quattro settimane, come prevede il contratto di solidarietà che consente di impiegare tutti gli addetti con una diminuzione dell’orario giornaliero o mensile in base ai volumi produttivi. Ad annunciarlo i vertici aziendali arrivati a dicembre nella città di Masaccio per il tradizionale incontro di fine anno. Dopo un positivo 2017, l’andamento del gruppo si consoliderà ancora, come ha confermato Riccardo Garrè, amministratore delegato del gruppo.
Un gruppo che già nel 2016 aveva chiuso l’esercizio con un fatturato di circa un miliardo di euro, una performance definita “eccezionale”. E se per i 12 mesi appena trascorsi, “fra i più difficili dell’intera gestione per l’aumento dei prezzi delle materie prime”, ha commentato Garrè, si stima comunque un incremento in linea dei ricavi, per il 2018 la prospettiva è di un ulteriore consolidamento del trend di redditività e generazione di cassa.
Un andamento al rialzo che sicuramente avrà ricadute anche sul sito valdarnese specializzato nella produzione di laminati e profili metallici per applicazioni civili e industriali. Una componente della holding che ormai da tempo tiene fede alle linee guida programmate sia per gli indicatori economici sia per le prestazioni. Sembra, quindi, sul punto di essere vinta la scommessa del definitivo rilancio della storica ex Ferriera al centro negli anni scorsi di una lunga vertenza sostenuta dall’intera comunità e dalle istituzioni locali e regionali.
Appaiono lontani, insomma, i tempi in cui il destino della Beltrame in Valdarno era appeso a un filo, con i dipendenti riuniti in un presidio permanente davanti ai cancelli di piazza Giacomo Matteotti e impegnati a dar vita a iniziative clamorose per evitare la chiusura della loro fabbrica, come quando si incatenarono sotto Palazzo d’Arnolfo.

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