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Infermieri aggrediti nei Pronto Soccorso: dati allarmanti. Nel campione anche la Gruccia

Gli operatori sanitari sono tra le categorie più esposte a violenza sul luogo di lavoro e in particolare gli infermieri dei Pronto Soccorso che devono gestire rapporti caratterizzati da forte emotività, frustrazione e perdita del controllo da parte dell’utenza.
Un fenomeno sottostimato per la scarsa propensione a denunciare gli episodi nel timore che siano giudicati come indicatori di scarsa professionalità.
A dirlo tre iscritti all’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Arezzo, Serena Gabbrielli, Laura Picchioni e Ferdinando Testa, che tra agosto 2015 e febbraio 2016 hanno censito la situazione in alcuni dei maggiori Pronto Soccorso della Toscana, con almeno 25.000 accessi annui e tra questi anche il monoblocco valdarnese di Santa Maria alla Gruccia e il San Donato di Arezzo.
“Su un campione di 287 infermieri, l’84%, spesso in età compresa tra i 30 e i 40 anni, ha affermato di essere stato aggredito verbalmente da 2 a 5 volte negli ultimi 12 mesi per il 46%.
Il 18% ha inoltre riferito di aver subito aggressioni fisiche, spintoni e calci (almeno una volta in un anno nel 65 per cento dei casi) soprattutto da uomini (91%), parenti e accompagnatori italiani (51%) o stranieri (49%) di età compresa tra i 30-40 anni (47%)”.
A scatenare le reazioni violente l’influenza di sostanze come alcool e droga, ma anche i prolungati tempi di attesa.
“L’ingresso di una persona in Pronto Soccorso – affermano gli autori della ricerca – rappresenta di per sé un evento altamente stressante: per il paziente, i familiari e il personale sanitario tutto. Spesso la necessità di intervenire celermente, la paura e il bisogno di risposte può portare all’innescarsi di azioni violente. L’atto violento non è però mai giustificabile e non è mai il frutto di una sola colpa. La violenza fisica e verbale non può essere considerata un semplice evento da prevenire o un semplice rischio professionale. Questa lascia infatti tracce difficili da dimenticare, determinando terrore, demotivazione professionale, rabbia e senso di abbandono”.
Per contrastare questo fenomeno, secondo gli autori della ricerca, bisogna agire sulla prevenzione e sull’informazione.
“La corretta azione gestionale, la formazione del personale, lo studio del fenomeno e la modifica dell’ambiente sono gli elementi principali per far si che i comportamenti e gli ambienti dove vengono erogate le prestazioni di ascolto, cura ed assistenza, siano il più possibile idonei a garantire sicurezza. È infatti solo con l’integrazione di un sistema completo di prevenzione che è possibile riconoscere la gravità del fenomeno e di conseguenza ridurlo”.

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