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Tommaso Nannicini: “Abolire il Jobs Act? Un errore. Pd e sindacati a corto di idee”

Tommaso Nannicini, montevarchino, ex parlamentare del Pd, sotto il Governo Renzi contribuì in maniera decisiva, nelle vesti di sottosegretario, al considdetto Jobs Act, riforma portata avanti per flessibilizzare il mercato del lavoro. Questa mattina, sulle colonne del quotidiano La Nazione, ha detto la sua sulla proposta del leader della Cgil Maurizio Landini di lanciare un referendum sulla precarietà del lavoro e anche sul Jobs Act. E Nannicini, oggi professore di Economia alla Bocconi di Milano, non ci sta, lanciando frecciate anche all’attuale guida politica del Pd.

“Quando il sindacato non ha un’agenda, agita i referendum – ha detto Nannicini – La precarietà dei giovani, i bassi stipendi e i tagli allo Stato sociale sono problemi seri, troppo seri per affrontarli con la demagogia. Che cosa vuol dire abolire il Jobs Act? Abolire la norma che ha permesso ai rider di Torino di ottenere le tutele del lavoro subordinato? Abolire la norma che aumentava la Naspi ed estendeva la cassa integrazione alle piccole imprese? Reintrodurre i co.co.pro? Abolire il sistema nazionale delle politiche attive? Più che abolirle, queste cose andrebbero fatte meglio”, ha spiegato l’ex parlamentare montevarchino a La Nazione.

“Sembra solo una sparata per nascondere un vuoto di idee e un deficit di rappresentanza”, ha proseguito il professore della Bocconi, che ha parlato anche del Pd. “Per alcuni è facile criticare gli errori dell’era Renzi, molto più difficile ammettere quelli dell’era Zingaretti-Letta. Io non ho problemi ad ammettere che sul Jobs Act è stato un errore l’eccesso di enfasi sull’articolo 18 – ha spiegato – Quell’errore ha nascosto le parti buone della riforma. E ha rotto il dialogo con il sindacato, che ancorché dialettico non deve mai venir meno a sinistra. Abbiamo sbagliato. Mi piacerebbe però che qualcuno ammettesse anche gli errori successivi.Quali? Per esempio, il sì al taglio dei parlamentari piegandosi all’egemonia grillina. E il governismo fine a se stesso, che ha prodotto posti di governo per i dirigenti del Pd ma poche risposte per le persone. Dopo aver spianato la strada alla Meloni, sembra che alcuni dirigenti del centrosinistra vogliano far di tutto per farla restare a Palazzo Chigi”. Un siluto, indirizzato soprattutto alla neo segretaria Elly Schlein.

Tra le proposte che Nannicini vorrebbe fossero proprie della sinistra un Reddito di formazione: una forte garanzia del reddito per chi accetta di inserirsi in un percorso capillare di formazione permanente. “Ecco una battaglia che mi piacerebbe vedere da parte del centrosinistra e del sindacato”, ha detto. Su La Nazione ha parlato anche del nodo del salario minimo.  “Il problema delle retribuzioni basse esiste – ha confermato – Il salario minimo sta nel programma del Pd dal 2018 ed è una misura utile. Ma va fatto bene. Fissandolo in modo da rafforzare anziché scardinare la contrattazione collettiva. E facendo capire che quello è uno strumento per il lavoro povero, mentre per far salire i salari di tutti gli altri servono altri strumenti. Altrimenti – ha concluso –  torniamo all’idea dei salari come variabile indipendente, delegittimiamo il sindacato e assistiamo alla sfilata di politici che ogni giorno vanno a Porta a Porta per promettere di alzare le retribuzioni. Per aggredire la questione salariale, ci serve il Reddito di formazione, politiche industriali che coniughino tecnologia e lavoro, sindacati più forti nei luoghi di lavoro, con una legge seria sulla rappresentanza e forme di partecipazione dei lavoratori e delle lavoratrici”.

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