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Cinque tamponi: 3 positivi e 2 negativi. L’odissea di 44enne di Bucine e della sua famiglia

Prigionieri di due aggettivi, positivo e negativo. Arriva da Bucine una storia paradossale ai tempi del Covid e coinvolge la famiglia di un uomo di 44 anni che da fine ottobre scorso ha collezionato 5 tamponi, 3 positivi e due negativi, ma non tutti nell’ordine sperato. A raccontare la vicenda è la moglie che da un mese, insieme al figlio di 17 anni, è in isolamento e vorrebbe una volta per tutte una diagnosi chiara anche per rientrare al lavoro tutelando sé e i colleghi.
“Tutto è iniziato il 30 di ottobre – afferma – quando a mio marito è venuta la febbre a 38 e mezzo. Ho chiamato la guardia medica e mi ha consigliato, visto anche la bassa saturazione, di contattare il 118 che, dopo la visita, ritenendo si trattasse di Covid, mi ha invitato ad avvertire l’Usca”. Che il lunedì seguente esegue il tampone. Il primo che attesta la positività certificata il 2 novembre. Inizia il consueto iter con le visite programmate dei medici dell’Usca, ma la febbre non si abbassa e “sopraggiungono dolori al basso ventre – aggiunge la donna – che i dottori attribuiscono a un problema alle vie urinarie e decidono di applicare un catetere. Ma la temperatura non scende, anzi la respirazione peggiora e perciò dopo alcuni giorni viene trasferito all’ospedale di Arezzo dove rimane una notte in quanto la Tac attesta che i reni sono a posto. Unica prescrizione togliere il catetere”. ù
Nonostante le cure a domicilio tuttavia il valdarnese non si libera della febbre e trascorsi altri 6 giorni deve essere riportato al San Donato per affanno nel respiro e scarsa ossigenazione del sangue. “Stavolta il tampone di controllo dell’ospedale è negativo – riprende la signora – ma viene diagnosticata una polmonite bilaterale, forse sopraggiunta dopo l’infezione urinaria, in forma non grave tanto che è rimandato a casa. Il termometro però segna di continuo oltre 37.5 e l’Usca richiede il terzo tampone che smentisce il precedente ed è positivo a bassa carica virale”.
Ergo, il quarantaquattrenne ritorna nel programma dell’Unità Speciale di Continuità Assistenziale fino al 29 novembre quando, in mancanza di miglioramenti, è eseguito il tampone numero quattro, decisivo per stabilire se sia necessario un eventuale ulteriore ricovero oppure l’affidamento alle terapie del medico di base. “E’ risultato negativo e la mattina successiva, alle 8, ci è stato trasmesso il certificato dell’Igiene della Asl che conferma la guarigione. A quel punto chiamo il medico di famiglia e consiglia una visita al Pronto Soccorso della Gruccia. Del resto ormai mio marito risulta guarito e può muoversi.
Accompagnato dal genero raggiunge il monoblocco e lo sottopongono a una serie di accertamenti e a un altro tampone”. Il quinto, che contraddice l’esito del quarto: positivo. Insomma, un’altalena da incubo alla quale, denuncia la donna, si sommano anche i ritardi nelle comunicazioni dalla Asl: “Dal 1° dicembre, pur avendolo sollecitato più volte, non ho ottenuto un certificato che dichiari la nuova positività di mio marito che peraltro da lunedì scorso è tornato in malattie infettive per la febbre. Credo sia un nostro diritto avere finalmente una diagnosi certa. E oltre alla salute c’è il lavoro. Io e mio figlio siamo sempre stati negativi, ma adesso posso tornare alla mia occupazione con un positivo sintomatico riaccertato? Vorrei un certificato anche per attestare la nuova situazione, perché non stiamo parlando di una semplice influenza, ma dalla Asl, nonostante le ripetute telefonate, ancora nessuna risposta definitiva”.

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