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Pensieri in libertà, di Leonardo De Nicola. “Francesco Mochi, figlio della nostra terra”

Un grande artista, un figlio della nostra terra. Francesco Mochi (Montevarchi 1580 -Roma 1654) è stato un grande scultore che, nello scorrere delle sue opere, testimonia quanto sia possibile e persino curiosa l’evoluzione della propria arte. Anche all’occhio più profano sono percettibili i cambiamenti e l ‘influenza del tempo e degli stili in un processo di maturità e di evoluzione continua.
Ne sono testimoni diretti dopo 400 anni i due grandi monumenti equestri dei duca Farnese che il Mochi ci lascia a perpetuo ricordo nella piazza centrale di Piacenza .
Ovvero in quello che da sempre è considerato il salotto buono dei piacentini, l’agorà dove i cittadini emiliani si ritrovano per discorrere, manifestare, festeggiare; la grande piazza che tutti chiamano dei ….cavalli.
Nel 1612 Francesco Mochi arriva nello stato farnesiano, nato per disposizione papale 100 anni prima: il potente ed ambizioso Paolo III che noi conosciamo nelle tele di Tiziano aveva alienato quelle terre padane allo stato pontificio per assicurare prestigio e continuità alla propria famiglia, originaria della Tuscia laziale, creando di fatto un nuovo territorio.
Che fra Farnese e Borbone e con la breve e celebrata parentesi della duchessa Maria Luigia andrà avanti in pratica fino all’ottecentesca unità d’Italia. Nei territori parmensi per esempio è ambientata la “Certosa” di Stendhal, romanzo di grande successo che si nutre della storia …per una ricostruzione bizzarra e fantasiosa. La vicenda (bella ma diremmo un feuilleton del tempo) è ambientata alla fine del periodo napoleonico e quindi quando i Farnese non ci sono più…Ma Stendhal prende e mescola fra di loro elementi diversi, inserendo in un contesto temporale volutamente sbagliato figure come il conte Sanvitale o la contessa Sansevirino mandata 200 anni prima nelle mani del boia per volere dell’ambizioso duca Ranuccio: si parlò di una congiura mai del tutto appurata ed in effetti le brame del Farnese erano rivolte soprattutto alle fertili terre lungo il Po ed al feudo di Colorno dove la Sanseverina regnava da sovrana assoluta..
Ma torniamo a noi e dunque al Mochi che a Piacenza è incaricato di eseguire su commissione due monumenti equestri che glorifichino nel tempo le gesta farnesiane.
Nella fase preparatoria lo scultore studia e viaggia per osservare da vicino le statue di Donatello e di Verrocchio, a Padova e altrove: esegue per prima quella di Ranuccio poi a seguire quella del duca Alessandro e qui.. ..torniamo al nostro discorso iniziale.
Risulta infatti evidente la diversa impostazione artistica e lo stile messo in opera dallo scultore; nella prima si fa ricorso alla classicità tipica del 500 e la figura del cavaliere e dell’animale appaiono decisamente statiche a confronto con quella successiva, dove il Mochi sprigiona tutta la sua forza creativa e dirompente, un tumultuoso incedere che è frutto di in evoluzione artistica che di fatto ci spinge già nell’età barocca e in quel periodo anticipato con forza da Lorenzo Bernini…
Mochi ha lasciato altri segni nella capitale ed a Orvieto per esempio, ma le grandi statue equestri di Piacenza rimangono i suoi capolavori, il manifesto del proprio lavoro e un curioso esempio di maturità artistica.
Credo che conoscerlo meglio sia un dovere non solo per i montevarchini, perché appare oggi certo come Francesco Mochi scultore sia stato molto e molto di più di una semplice via inserita nella toponomastica cittadina.
Buona domenica.

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