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“Figline tra storie e leggende”. I racconti del dottor Massimo Pandolfi su V24. “La tragedia di Pasquetta”

Il dottor Massimo Pandolfi ha svolto per anni la professione di Cardiologoco. Personaggio molto conosciuto in Valdarno, figlinese doc, ha sempre alimentato una sua grande passione. Raccontare storie di vita della sua comunità, ma anche antiche leggende, come ad esempio quella del fantasma del Serristori e di Villa San Cerbone.
“Vorrei proporre un esperimento – ha annunciato – . Premesso che un paese importante come Figline presenta una sua storia ma anche varie leggende, quella che vorrei raccontare è abbastanza lunga per cui, come nelle strisce dei giornalini che leggevo da ragazzo, Tex, Blek macigno, capitan Miki, la pubblicherei a puntate, sperando di generare una aspettativa per il “seguito” come erano capaci gli editori di quei fumetti. Se sarà apprezzato lo rifarò, altrimenti scriverò storielle più brevi, sempre nello spirito di non annoiare”.
I racconti, visibili sul suo profilo Facebook, saranno pubblicati anche sul nostro portale Valdarno 24. Partiamo con il primo.

LA TRAGEDIA DI PASQUETTA

“Ho deciso di riportare alcune storie del nostro paese, Figline Valdarno, storie di cui sono venuto a conoscenza sia leggendo che ascoltando i racconti di persone care, alcune delle quali non sono più tra noi e che mi piace ricordare. Nazario, mio padre, mio zio Carlo, figlinesi veraci e memorie certe degli anni che vissero, nei tempi tormentati dell’ultimo conflitto mondiale. Accanto a loro, vere enciclopedie viventi facili da consultare, mi informano sia il mio amico Ivo Tinalli che il professor Bonatti, vero pozzo di cultura e depositario di storia del nostro paese, non solo dei suoi anni giovanili ma anche di eventi precedenti, peraltro descritti nei suoi bei libri. Ero solito incontrarli tutti in Piazza Marsilio Ficino, in quella piazza sempre più spoglia delle cose belle che la adornavano, punti di ritrovo e di chiacchere, orami quasi sempre desolatamente vuota anche senza pandemia. Sperando di tornare a incontrare gli amici e i conoscenti e a camminare avanti e indietro, parlando, raccontando e soprattutto ascoltando, contentiamoci di esporre quel poco che sappiamo in questa piazza virtuale che la tecnologia ci mette a disposizione.
Era una tradizione figlinese la “festa in cesto” che si teneva ogni lunedì di Pasqua. Non era previsto di spostarla a tempi migliori, in quel lontano 1944, nonostante la guerra. Gli alleati erano sbarcati ad Anzio nel gennaio e sia pur rallentati dalle truppe tedesche nella loro avanzata (un grande intoppo fu Cassino) stavano risalendo la penisola, portando la liberazione e assieme a quella un terribile prezzo da pagare, le vittime civili dei bombardamenti aerei. In quel mese di aprile, dove la Pasqua ricorreva il giorno 9, l’attività aerea alleata si era intensificata sul nostro Valdarno, in modo particolare su Figline. Un convoglio tedesco era stato bombardato appena uscito dalla stazione in direzione Firenze e l’esplosione aveva terrorizzato residenti e sfollati nelle campagne. La contraerea tedesca (la Flak, acronimo di FlugabwehrKanone, letteralmente cannone da difesa del volo) era piazzata ad Incisa ma raramente riusciva ad intercettare i cacciabombardieri alleati, provenienti dalla Corsica.
Alfredo e Giuseppina avevano deciso di andare alla festa, ma tutti quegli aerei che dalla mattina passavano su Figline avevano consigliato di restare a casa della ragazza, nell’orto di’ quindici. Questo buffo nome per un luogo derivava dal fatto che il vecchio Gianbattista Fabbrizzi faceva l’ortolano e il sensale. Aveva fatto concludere un affare per un vitello, trovando una via di mezzo tra la richiesta (16 lire) e l’offerta (14 lire). La salomonica mediazione gli aveva lasciato addosso, come si usava nella Figline di allora, questo buffo soprannome numerico. Assieme ad un vicino si precipitarono nella capanna, una volta sentito il fischio lacerante dell’aereo in picchiata, ma il destino era ferocemente in agguato proprio in quello che doveva essere un rifugio sicuro. Lo Spitfire, forse in difficoltà, forse in riserva di carburante, sganciò le due bombe che aveva sotto le ali: una centrò un malcapitato che stava recandosi al lavoro all’Azoto (l’attuale Bekaert), l’altra si abbatté sulla capanna. Alfredo e il vicino morirono sul colpo, Giuseppina poco dopo, all’Ospedale dove era stata trasportata su una rudimentale barella, spinta dai volontari della Misericordia. Al funerale partecipò tutta la popolazione, compresa la guarnigione tedesca (la Schutzpolizei comandata dal tenente Von Essen). Per chi volesse recarsi sulla tomba delle povere vittime per una preghiera, può trovarla nel Cimitero monumentale della Misericordia, nella navata a sinistra di chi entra. Sul marmo una epigrafe implora il Signore di non dividere in cielo coloro che ha voluto uniti così tragicamente in terra. Per chi crede è di consolazione la speranza che chi l’ha scritto abbia ragione.

Le foto allegate, che assieme alla storia devo alla cortesia della mia compagna di scuola Giuseppina Sorelli, di suo fratello Romano e di suo marito Mauro Lombardi, sono quella dei due fidanzati, Giuseppina Fabbrizzi e Alfredo Rigacci. L’altra viene dalla Germania ed è un vero documento storico; fu scattata da un fotografo figlinese che immortalò tutto il corteo funebre. Infine, dedico questo scritto, in questi giorni dedicati alla memoria, a tutte le vittime civili dei campi di sterminio, delle rappresaglie, del fuoco amico e soprattutto dell’umana follia”.

Dottor Massimo Pandolfi

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