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I racconti di Massimo Pandolfi. Galileo Galilei e il Valdarno

Proseguono i racconti di Massimo Pandolfi, figlinese doc, da sempre appassionato di storia e cultura locale. Questa domenica il cardiologo valdarnese si è occupato di quello che è considerato il padre della scienza moderna: Galileo Galilei e dei suoi rapporti con il Valdarno.

“Non vorrei che pensaste che, colto dall’amore per il mio paese, immagini Figline come il centro del mondo. La nostra cittadina, come tante in Italia, è stata attraversata dal fiume della storia e ovunque si possono trovare tracce di un passato altalenante tra trionfi e tragedie, vittorie e sconfitte, geni e criminali. Ogni governo che si alterna alla guida del paese mette al centro dei propri buoni propositi lo sviluppo della cultura, ma l’impressione, dato l’abbandono di monumenti meravigliosi, l’oblio delle nostre glorie nazionali, è che non si vada mai al di là dell’intenzione. Sono convinto che tante cose del Valdarno potrebbero essere valorizzate, in iniziative che dovrebbero avere una continuità, per non essere limitate a poche persone e a periodici eventi, che si accendono e si spengono come fuochi nella spiaggia, destinati a brillare una sola notte.
Galileo, il nume della rivincita della scienza contro l’oscurantismo religioso, obbligato a rinunciare alla propria idea vincente dal terribile tribunale dell’inquisizione, ha avuto a che fare, direttamente e indirettamente con le nostre zone. Premesso che tante delle vicende del grande matematico hanno un connotato mitologico e non corrispondono alla verità dei fatti che, come sempre si trova nella ricerca storica seria, tanto per farvi capire torniamo per un attimo a quando, secondo la leggenda, uscì dal tribunale dove aveva dovuto pronunciare l’abiura.
«Questo è il famoso Galileo, che fu sottoposto all’inquisizione per sei anni, e torturato per aver detto che la terra si muoveva. Quando fu liberato, egli alzò lo sguardo al cielo e giù verso terra e battendo il piede, con animo contemplativo disse: Eppur si move; ossia, tuttavia si muove, intendendo la terra.» La frase, scritta per una rubrica inglese, è l’invenzione di un giornalista italiano, tal Giuseppe Baretti. Correva l’anno 1757 e la protesta stizzosa, mai pronunciata da Galileo, entrò nel pensiero comune. Tra l’altro Galileo non fu mai torturato, altrimenti sarebbe morto, essendo vecchio e di poca salute, ma i membri del tribunale ecclesiastico si limitarono a mostrargli gli strumenti dell’orrenda pratica (nei documenti indicata come il ”rigoroso esame”.
Il Galilei fu giovane novizio all’abbazia di Vallombrosa (vale la pena di visitare il museo dove c’è una riproduzione di uno dei suo cannocchiali) ma il padre lo andò a prendere e lo riportò a casa accampando una mai precisata malattia degli occhi del figlio, problema che poi, in tarda età si manifestò davvero.
Altri due contatti con la nostra vallata e precisamente con Figline: Galileo era molto amico di Ludovico Cardi, detto il Cigoli, famoso pittore e parente della famiglia Cardi di Figline, autore di opere pittoriche di grande valore. Una è presente nel museo della Collegiata e l’altra nella cappella dell’Ospedale Serristori.

L”autoritratto del Cigoli

Inoltre il consultore del Santo Uffizio (l’inquisizione romana) era un figlinese, tal Ludovico Serristori, il quale assistette il domenicano Vincenzo Maculano nel processo al matematico, che finì con l’abiura e l’esilio del genio toscano. Era un gesuita, appartenente alla casata dei Serristori, nato nel nostro paese Per la vulgata storica è meno famoso del cardinale Roberto Bellarmino, che ricopriva lo stesso incarico nella prima ammonizione a Galileo e che invece ebbe una parte fondamentale nel processo a Giordano Bruno, da cui la triste fama.

Inoltre appartiene ad un coltissimo frate che per tanti anni ha insegnato a Figline, padre Ignazio Ceccherelli, la spiegazione dell’equivoco linguistico alla base del contenzioso tra la Chiesa e Galileo. Tutto nasceva dal fatto che Giosuè nella guerra contro i re Amorrei avrebbe imposto al Sole di fermarsi, cosa che sarebbe stata impossibile se, come sosteneva Galileo (e non solo lui) fosse stato già fermo con il nostro pianeta che gli girava intorno. Non si poteva contraddire la parola del Signora e quindi si entrava nel pericoloso territorio dell’eresia. Nelle sacre scritture l’aramaico “Damam” (lingua che il dotto frate conosceva perfettamente) venne tradotto in “fermati” mentre il vero significato è “oscurati” e la frase che Giosuè avrebbe gridato al Sole, correttamente tradotta, avrebbe messo d’accordo tutti. “Se Galileo l’avesse saputo” è il libro che padre Ignazio dedicò alla vicenda, libro purtroppo sconosciuto per gran parte del mondo cattedratico e comunque arrivato molto dopo a dar ragione alla Scienza e a Giosuè”

Dottor Massimo Pandolfi

Il libro di Padre Ignazio.
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