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Gli studenti universitari dopo un anno di Dad:” Ci mancano i compagni e le lezioni in presenza, torniamo al più presto alla normalità”

Tra le categorie più ignorate dal dibattito pubblico degli ultimi 12 mesi troviamo sicuramente gli studenti universitari.  Generalmente troppo giovani per essere colpiti in maniera diretta dal Covid ma troppo grandi per essere tutelati e attenzionati come i bambini o gli allievi di scuole primarie e secondarie. Sicuramente però, anche per loro,  la pandemia è un periodo difficile da superare visto che ha limitato le relazioni e di fatto cancellato la possibilità di conoscere nuove persone ed ampliare le proprie conoscenze anche all’interno delle Università, luogo di incontro e crescita per eccellenza. A questi giovani, uomini e donne, è stata richiesta la maturità e la consapevolezza del rispetto delle regole che certo provoca in loro del sacrificio ed un po’ di disagio. Ma rinunciare oggi ad un minimo di socialità per poter tornare più presto alla normalità è una sfida che nessuno si vuole far scappare. Sentiamo nello specifico le esperienze di Francesco Merli e Francesca Navarrini, residenti a San Giovanni, e di Leonardo Luti,  matricola di Giurisprudenza di Montevarchi.

Come state vivendo questo anno in Didattica a distanza?

“La sto vivendo piuttosto male -risponde Francesco Merli, 23 anni, studente di Ingegneria Biomedica – perché mi sono laureato a dicembre del 2019 in triennale e quindi la magistrale non sono praticamente mai riuscito a frequentarla in presenza e questo rende la routine molto pesante. Inoltre a differenza del mio primo triennio universitario, non ho avuto la possibilità di conoscere nessuno con cui confrontarsi e collaborare tranne le poche volte in cui abbiamo fatto un progetto i cui gli incontri si sono comunque svolti per la gran parte da remoto. Sono convinto che la mancanza di relazioni crei anche difficoltà nell’organizzazione dello studio, poiché da soli è impossibile confrontarsi sulle difficoltà di apprendimento e chiarirsi ad esempio dei dubbi a poche ore da un esame. Inoltre, anche se frequento materie prettamente teoriche, sarebbe stato molto utile avere la possibilità di fare attività laboratoriali in presenza o comunque più empiriche e non ridotte a dimostrazioni video che necessariamente perdono efficacia ed interesse. Ho notato infine due cose su questo periodo trascorso davanti allo schermo di un computer: i professori tendono ad abbassare l’asticella, a chiedere cose meno complesse agli esami e questo provoca, alla lunga, che anche gli studenti con i voti più alti siano in realtà meno preparati rispetto al passato. Senza contare un altro aspetto – conclude Francesco -.  Siamo veramente dipendenti dal computer e dalla connessione che abbiamo a diposizione e che evidentemente non è uguale per tutte le famiglie e anche questo aspetto che rischia di provocare disparità e non va certo ignorato”.
“Ormai lo scorso settembre ho iniziato il primo anno di università e di conseguenza il secondo anno in Dad – ci dice invece Francesca Navarrini, 19 anni, studentessa di Giurisprudenza – . L’esperienza con la didattica a distanza che sto vivendo all’università di Firenze è diversa da quella che ho vissuto nell’ultimo quadrimestre del liceo. I mesi che hanno preceduto l’esame sono stati più pesanti ovviamente per la preparazione dell’esame ma non solo, la distanza dall’ambiente scolastico e dai compagni ha inciso sull’umore di noi studenti che non avevamo mai vissuto un’esperienza del genere, portando a oggettive difficoltà sia organizzative che emotive, nonostante il grande impegno sia nostro che dei professori per svolgere le lezioni nel modo più diligente possibile. All’inizio di questo semestre ho seguito varie lezioni in presenza, poi con l’aumento dei casi ho preferito tornare alla modalità a distanza. Il ritorno in aula è stato emozionante e necessario sia per l’apprendimento delle prime nozioni che per conoscere i miei compagni di corso, con i quali non avrei creato un legame attraverso la didattica a distanza”.
“Quest’anno svolto in modalità a distanza per me si è tradotto in un esame di maturità diverso da come me l’aspettavo, da come la volevo – dice Leonardo Luti, 20 anni, studente di Giurisprudenza – . Lo scorso giugno infatti in unica prova orale ero solo in classe davanti ai miei professori e ad un presidente di commissione esterno. A settembre la situazione non è cambiata e mi sono trovato ad iniziare il primo anno di università senza la possibilità di conoscere dal vivo nuove persone e creare nuove amicizie. Sono convinto che nessun bambino o ragazzo si immaginerebbe di concludere e portare avanti il proprio percorso di studi con questa modalità. Quegli ultimi mesi, seppur svolti in maniera diligente da un punto di vista didattico grazie all’impegno e alla forte duttilità dei professori, hanno privato me, come tanti altri giovani, della scuola in tutti i suoi aspetti più scontati. Mi è mancata soprattutto la spensieratezza di iniziare un nuovo percorso e di poter fare la normale vita da universitario. Le lezioni da remoto hanno necessariamente eliminato la possibilità di vivere anche gli ambienti universitari come facoltà e biblioteche.  In DAD sicuramente è più difficile avere stimoli e una buona concentrazione nella propria casa sempre ricca di distrazioni di ogni genere”.

Quali sono gli aspetti da salvare, se ce ne sono, della Dad?

“L’aspetto positivo della Dad sta nel fatto che gran parte delle lezioni sono registrate, per cui se uno dovesse mancare per qualsiasi motivo può avere la possibilità di rivederle e ascoltarle anche se restano un surrogato delle attività in presenza”, risponde Francesco – Sulla stessa lunghezza d’onda anche Francesca e Leonardo. “Nonostante tutto la Dad è stato ed è uno strumento essenziale per superare questo periodo e la possibilità di poter riascoltare le lezioni è molto utile per lo studio – hanno detto -tuttavia, attraverso questo metodo, è molto facile perdere l’attenzione e il coinvolgimento in generale è minore”.

 

 

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