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Superlega. Il parere di Leonardo De Nicola. “Tutti i progetti che tradiscono i valori meritocratici appaiono discutibili”

Qualche anno fa venne creata la N.B.A. statunitense nella pallacanestro: un motivo valido per gestire in pochi la ricchezza prodotta dall’intero sistema o da chi ha maggiori risorse da mettere sul tavolo. Da quando, tanti anni fa, l’amministratore del Milan Galliani fece capire senza troppi sottintesi che le trasferte a Lecce o a Reggio Calabria erano da intendersi alla stregua di un semplice fastidio e nulla più si è sviluppata, fino a prendere corpo l’idea di una superlega calcistica dei club più potenti. Potenti, si, e senza guardare più di tanto alla storia e alle medaglie, perché se così fosse al posto di squadre come il City o il Tottenham ci sarebbero magari oggi Aiax e Benfica. È quindi è soltanto una questione di danaro. I club che devono monetizzare tutto ciò che c’è da prendere, al diavolo se occorre la passione sportiva, la bellezza di perdere a La Spezia ( si..bellezza ) e tutto il resto. Sono discorsi che vengono dal passato militante, perché diciamocelo francamente….da anni il terreno è stato ben concimato e l’approccio del tifoso sportivo è sicuramente cambiato con il trascorrere delle generazioni. Faccio riferimento ad un dato che è comunque rappresentativo: lo scorso campionato la Juventus rinunciò a fare scendere in campo Ronaldo a Marassi con il Genoa. Alcuni abbonati del grifone minacciarono causa alla società e non so a chi per l’assenza del campione portoghese: un assenza che sarebbe stata accolta per anni come un colpo di fortuna per la squadra rossoblù. Questo per spiegare come è certamente mutata la platea dei “consumatori” di un evento, un approccio per dire….all’americana.
Ma tutti i progetti che nascono per l’interesse di pochi eletti e che, soprattutto, tradiscono i valori meritocratici appaiono francamente discutibili. I tre club italiani aderenti alla superlega, due dei quali in mani “straniere” sanno comunque quanto pericoloso sia tirare la corda all’infinito: soprattutto quando sono note certe situazioni finanziarie non del tutto brillanti. Quelle che costringono a plusvalenze o alla ricerca di particolari meccanismi per diluire il pagamento degli stipendi, fino a chiedere agli stessi calciatori una parziale riduzione degli stessi emolumenti. E, società di vertice legate a fondi di investimento con tutti i lacci e lacciuoli del caso.
Insomma, nella nostra serie maggiore ci può stare benissimo che una squadra che retrocede abbia un bilancio cristallino e che una che vince lo scudetto debba arrabattarsi ogni giorno. Complice di tutto ciò ovviamente la forbice che si è creata fra le squadre maggiori e quelle di media e bassa classifica, in termini di bilanci e di stipendi. Se do 60 milioni l’anno ad un calciatore, sono insomma sempre alla ricerca di ricavi che mi garantiscono la sopravvivenza stessa. E’ un circolo vizioso dal quale non se ne esce.
Allo stesso tempo i club più importanti e di largo seguito sanno benissimo di avere in mano una grande arma di ricatto nei confronti delle istituzioni calcistiche e che va oltre le minacce di squalifiche e di provvedimenti disciplinari. Pensate ad un campionato nazionale privo di Juve, Inter e Milan….un prodotto meno appetibile e meno importante per tutti. Ed è su questo fatto che, pensiamo, i club faranno leva: dare vita ad una competizione stile campionato europeo di larga portata che magari sostituisca i campionati nazionali nel week end: a Udine o a La Spezia si andrà di mercoledì, zitti zitti senza dare troppo nell’occhio…fate voi.

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