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“Il tempo delle chiacchiere e delle passeggiate davanti allo stabilimento è finito”. I lavoratori Bekaert scrivono ai sindaci

“Non è più il momento delle chiacchiere e delle passeggiate davanti allo stabilimento. Fin troppi hanno fatto promesse mai mantenute. Adesso è ora di trovare una soluzione per garantirci il nostro diritto ad un futuro migliore”. Non le hanno mandate a dire i lavoratori della Bekaert di Figline, che hanno scritto una lettera ai sindaci del Valdarno e delle zone limitrofe, alla Città metropolitana di Firenze e alla Regione Toscana. Alle istituzioni chiedono di stringere un’intesa coi sindacati e costituire “un bacino di tutti i lavoratori Bekaert da cui attingere per le esigenze di manodopera delle aziende presenti in Valdarno e nella Città metropolitana, a partire da quelle più grandi”. “Pensiamo a Prada e alle grandi aziende della moda, fino a tutti coloro che si presenteranno per investire, come è stato fatto in Laika”, hanno scritto i lavoratori, che hanno ricordato le tappe di una vicenda iniziata il 22 giugno 2018.
“Dopo 34 mesi – hanno aggiunto – siamo ad un punto estremamente delicato della vertenza: nonostante sia possibile usufruire ancora di ammortizzatori sociali il 24 febbraio è stato firmato un accordo che chiuderà definitivamente questa vicenda il prossimo 4 maggio, con il licenziamento di tutti noi 120. Qualora non ci fosse un reindustrializzatore pronto a rilevare l’azienda, entro tale data, saremo tutti disoccupati”. “La cosa ancora più grave – hanno sottolineato gli operai – è che, qualora ciò avvenisse, noi saremo licenziati benché in Italia ci sia ancora il blocco dei licenziamenti fino al 30 giugno. La nostra vicenda rischia di finire come non meritava e come non meritiamo. Noi siamo ancora qua, con le nostre famiglie, i nostri bisogni, le nostre necessità e l’incertezza di un futuro, e non vorremmo che qualche fantomatico reindustrializzatore dell’ultim’ora si presentasse, in sella ad un ‘cavallo bianco, pensando poi di poter pescare dalla disoccupazione alcuni lavoratori e non altri per aprire una fabbrica simile a quella in cui lavoravamo appena dopo il 4 maggio”.

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