Cerca
Close this search box.

Storie italiane. 50 anni fa l’omicidio Calabresi a Milano

Anche le tragedie, giusto o no che sia, si prestano talvolta alla “storicizzazione” e…così la memoria non può che tornare al tempo che fu ed al paese che eravamo. Il 17 maggio di 50 anni fa veniva ucciso a Milano con tre colpi di pistola alle spalle il commissario di polizia Luigi Calabresi. Un delitto maturato negli ambienti dell’estrema sinistra ed un bersaglio scelto dopo una lunga ed anche vergognosa campagna diffamatoria. Militanti di lotta continua, ma anche semplici sostenitori della “sinistra” italiana firmarono un manifesto di accusa (800, fra cui molti nomi illustri) nei confronti di Calabresi, il commissario cosiddetto impropriamente torturatore, reo di usare metodi spicci e presunto colpevole per la morte avvenuta all’interno della questura milanese del ferroviere anarchico Pinelli. Negli anni successivi sarebbero caduti poliziotti, carabinieri, magistrati, giornalisti, persino operai come Guido Rossa a Genova che rifiutarono l’omertà.
Quelli che noi ancora oggi definiamo gli anni di piombo della nostra Repubblica e che assomigliano molto ad una guerra civile vera e propria. Ma torniamo al delitto Calabresi: la confessione di Leonardo Marino, l’autista dell’ assassino, portò, dopo dieci lunghi anni, ad una sentenza definitiva di condanna per Ovidio Bompressi, Giorgio Pietrostefani ed Adriano Sofri. Esiste quindi una verità giudiziaria che non ci fa oggi parlare di mistero italiano al pari di altri accadimenti, penso alle bombe sui treni, alla strage della stazione di Bologna, alla tragedia di Ustica ma anche ad altre uccisioni. Tuttavia non possiamo tacere come quella sentenza di condanna mai è stata accettata dalla comunità di Lotta continua del tempo ed ovviamente dai tre imputati. Contro la condanna stessa si combatté un altra battaglia civile e in molti sposarono la linea innocentista, a torto o a ragione.
E qui sta il discorso che facevamo riguardo la storicizzazione dell’accaduto: quando gli imputati si sono presentati davanti ai giudici abbiamo avuto tre persone completamente diverse e, soprattutto, in larga parte integrate nella società. A volte…persino come se quell’Italia del 1972 non gli appartenesse più perché diversa, lontana, dominata da pulsioni giovanili e da un senso di ribellione estremo. Se il delitto Calabresi ha avuto una sentenza, tanti troppi colpevoli o fiancheggiatori di quegli anni sono ancora in mezzo a noi e si sono rifugiati nel silenzio e nell’ omertà e in un mondo comunque cambiato e lontano per certi versi anni luce da quel 17 maggio del 1972.
Chi può affermare oggi che Adriano Sofri per esempio, al netto delle colpe addebitate e riconosciute, non sia una persona equilibrata, intelligente e affidabilissima, un intellettuale di primo ordine? Nessuno, al di là dei giudizi personali. Ed ecco perché il delitto Calabresi ha una sua temporaneità storica, un qualcosa che non può essere mondato, ma che riporta inesorabilmente indietro le lancette del nostro tempo. In mezzo a tutto questo, la dignità estrema esibita dalla vedova, la signora Gemma, dal figlio Mario, giornalista famoso e da chi pur nel dolore che ha segnato una vita intera ha preferito sempre l’amore all’odio.

Articoli correlati