Cerca
Close this search box.

Questionario sui caregiver nel Lazio. Tessa, madre sangiovannese. “Non dobbiamo vergognarci a dire che siamo stanchi”

“In tutta onestà, non c’è nessun dono e nessuna meraviglia ad essere un caregiver. Assistere una persona con disabilità grave, sia esso un bambino, un ragazzo o un adulto è sfiancante. Togliamo tutte le sovrastrutture ipocrite che vorrebbero far passare l’assistenza come una missione stoica, un dono di cui ringraziare non si sa chi e perché. Si è caregiver per necessità, per dare assistenza ad un proprio caro o a un familiare”. E’ una analisi lucida e dettagliata, di chi vive il problema direttamente, quella di Tessa Mugnai, giovane madre sangiovannese, figlia di Lucrezia, 15 anni, che convive dalla nascita con una grave malformazione cerebrale. “Invito chi sta cavalcando l’onda emotiva del test somministrato agli utenti del Comune di Nettuno di smetterla all’istante”, ha aggiunto la donna, riferendosi alla bufera che si è scatenata nel litorale romano dopo un questionario fatto recapitare dal comune laziale alle famiglie con disabili gravi per accedere ai fondi destinati ai caregiver, a seguito di una delibera della Regione Lazio, Un documento che ha provocato un autentico polverone. Mi sento in imbarazzo a causa del comportamento del mio familiare?. E ancora: Mi vergogno di lui? Provo del risentimento nei suoi confronti?. Queste alcune delle domande contenute nell’indagine, che a seguito delle polemiche, è stata sospesa per un successivo approfondimento con il competente Dipartimento della Regione Lazio.
“Sono test che vogliono misurare la quantità di stress che il caregiver e la famiglia accumulano – ha detto la madre di Lucrezia – . e che vengono fatti regolarmente. Anche noi, in un’occasione, siamo stati coinvolti”. Il messaggio che vuole lanciare Tessa Mugnai è esplicito. “I caregiver non devono avere alcun timore a dire che sono stanchi e non ce la fanno più, perché sono essere umani e devono essere compresi. Chi ha in casa una persona con disabilità grave, come è nel nostro caso, ha bisogno di assistenza, anche solo per staccare un attimo. Per gli anziani ci sono i ricoveri di sollievo, non per i minori, per i quali sono invece attivi i centri diurni. Non ci si deve vergognare quindi a chiedere aiuto” . Lucrezia è accudita dalla madre e dal padre Roberto, ma ci sono anche gli altri figli Tommaso, 17 anni e Maria Vittoria di 7 anni. Poi i nonni Andrea e Luana. “Siamo tutti noi i caregiver – ha aggiunto Tessa – e io rivendico il mio diritto di dire che a volte sono esausta, che Lucrezia è fisicamente pesante da gestire, che la sua malattia ci ha messo in una condizione difficile e spesso svantaggiata. Sarei falsa e ipocrita se negassi le nostre difficoltà pratiche ed emotive, la fatica, il nervosismo e i sacrifici che tutti noi facciamo, minorenni compresi. Smettiamola di vedere la disabilità come un dono, perché non lo è. Non c’è nulla di romantico nella sofferenza! Può capitare di vergognarsi, di sentirsi esausti o di desiderare una pausa o una tregua da una vita oggettivamente complessa”.
Tessa, Lucrezia e i suoi familiari, in questi anni, non sono rimasti soli. Grazie al “Progetto di vita” le istituzioni hanno accompagnato il difficile percorso della famiglia, prendendo in carico l’aspetto sanitario e sociale, ma anche l’assistenza socio economica. “Abbiamo fatto, tutti insieme, quello che si poteva fare per farla starla meglio e per farla vivere in un contesto sereno – ha concluso la madre – Ma ci vogliono servizi adeguati che noi, per fortuna, abbiamo avuto. E le famiglie vanno aiutate anche a livello di salute mentale. Altrimenti finisce come nel Lazio e si ergono le barricate”.

Articoli correlati