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Taro, il rottweiler di Malotti, “vice allenatore” del Montevarchi

Chi considera difficile per non dire impossibile la convivenza tra un essere umano e un rottweiler non deve mai pronunciare una frase simile davanti all’allenatore dell’Aquila Montevarchi Roberto Malotti, il “padrone” (mai come stavolta, però, l’etichetta è inappropriata) di Taro, un bel cagnone di sette anni della specie selezionata nell’Ottocento in Germania sulle sponde del fiume Neckar.
Per la guida tecnica in serie C dei valdarnesi, infatti, il cucciolone di ben 63 chili è come un altro figlio e ben più di una mascotte nel suo lavoro. Ma cosa pensa il trainer fiorentino delle polemiche riaffiorate in questi giorni anche ad Arezzo dopo le aggressioni di cani di grossa taglia lasciati senza guinzaglio ai danni di esemplari più piccoli?
“Ci vuole buon senso e realismo nei giudizi – è una prima risposta – perché non esistono di per sé razze pericolose. Tutto dipende, a mio parere, da come viene abituato l’amico a quattro zampe e dalla conoscenza attenta e quotidiana del suo carattere. Ad esempio, so che il mio non va troppo d’accordo con i cani maschi ma sono riuscito a disciplinarlo e ad educarlo evitando qualunque criticità. Più di qualsiasi regolamento o di multe è importante, dunque, che i proprietari siano consapevoli sempre dell’indole e del temperamento dei loro animali comportandosi di conseguenza”. Del resto, aggiunge, Taro lo ha facilitato nel compito perché, ad onta della stazza imponente e dell’aspetto burbero, è ubbidiente e docilissimo. Scorrazza libero sul rettangolo verde senza creare problemi e, anzi, prima degli allenamenti accompagna i giocatori a centrocampo come un soldatino.
Per molti sembra proprio l’alter ego del tecnico, conosciuto e apprezzato ristoratore nella sua Firenze: vulcanico, ex calciante dei Rossi di Santa Maria Novella, e che non sta mai fermo né zitto a bordo campo. In realtà è una persona vera, sincera e di grande disponibilità. E con il suo Taro il feeling è stato immediato: “L’ho chiamato così – riprende Malotti – perché avevo un maremmano con lo stesso nome ed è vissuto 17 anni. A sceglierlo è stata mia figlia in una cucciolata di nove, dicendomi ‘babbo, prendiamolo perché ha proprio una faccia intelligente’. Non penso si sia sbagliata. Sì, ha acquisito proprio il carattere della famiglia. Buono come il pane ma guai a toccargli le cose che ama”. Nelle scelte professionali e sportive, poi, il suo Taro ha sempre un peso determinante.

“Prima di proporre a me il rinnovo del contratto – ha ironizzato il nocchiero degli aquilotti – i dirigenti del Montevarchi gli hanno dovuto far firmare un triennale. Altrimenti non se ne parlava nemmeno. E’ lui che a conti fatti ha deciso per me”. Infinita la lista degli aneddoti che raccontano di un feeling straordinario con i familiari e tra i due. Come quando vinse il derby del Valdarno a San Giovanni, il 13 giugno 2020, che sancì la certezza del ritorno del Montevarchi in Lega Pro. Presentandosi in sala stampa Malotti non parlò subito della gara e dell’impresa compiuta ma esordì dicendo: “Oggi non ho potuto avere qui Taro ma sapevo che ci avrebbe portato fortuna e per lui stasera è già pronta una bella bistecca”. Il legame nel tempo è diventato sempre più stretto anche con l’ambiente montevarchino.
Non è solo l’allenatore a riempirlo di coccole. Calciatori vecchi e nuovi non mancano mai, e non certo per timore, di fargli una carezza appena entra negli spogliatoi e di considerarlo una presenza essenziale, mostrandogli un affetto forse difficile da vedere in altre piazze, più compassate e seriose. Una pasta di rottweiler, dunque, che ormai è un habitué delle interviste post partita, posando con disinvoltura di fronte a fotografi e cineoperatori, quasi fosse una star.

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