Il Montevarchi è un passo dal ritorno in serie D. La sconfitta di ieri con il San Donato Tavarnelle rappresenta quasi certamente una pietra tombale, dopo un campionato contraddistinto da errori e fatti imprevedibili. Sarebbe infatti poco concepibile non evidenziare i limiti tecnici di una squadra che è stata, alla luce dei fatti, costruita male, al punto che si è cercato di porre rimedio nel mercato invernale, senza, per la verità grossi risultati. Quindi le colpe ci sono: della società, dell’area tecnica, con in testa Giorgio Rosadini, e anche di squadra e allenatore, anche se ai giocatori è difficile imputare un impegno che non è mai venuto meno. La verità è che la serie C non è la serie D e il Montevarchi se n’è accorto in più di un’occasione. A meno di stravolgimenti e miracoli dell’ultima ora sarà quindi retrocessione e già in queste ore sui social non sono mancate le polemiche. Niente di nuovo sotto il sole, perché quando nel calcio non arrivano i risultati si scatenano le critiche e si dimentica il passato. È sempre successo così e continuerà ad accadere anche in futuro. Chi parla è sempre stato convinto che per una piazza come Montevarchi la serie C sia un campionato sforzato, in una fase economica come questa e con un calo di interesse che è evidente non solo in casa rossoblu, ma un po’ dappertutto nei campionati cosiddetti “minori”. Basta leggere i tabellini degli spettatori in molti stadi di Lega Pro. Per non parlare della Serie D e soprattutto dei campionati regionali dove , a parte qualche caso isolato, in tribuna ci sono solamente addetti ai lavori, parenti e fidanzate dei giocatori. Se dietro non hai un mecenate è difficile rimanere nel calcio professionistico a lungo e confrontarsi con realtà di ben altro spessore come Cesena, Reggiana e la stessa Entella, il cui presidente, lo ricordo, è uno dei più importanti imprenditori del settore siderurgico italiano. Questo cosa vuol dire? Che per una piazza come Montevarchi, e non solo per lei, è difficile stare in queste categorie per più anni consecutivi e che la retrocessione fa parte del calcio. Sono purtroppo finiti i tempi dei Farolfi e dei Losi e anche dei Giorgi e dei Casprini, tanto per rimanere in zona. Oggi il tessuto economico produttivo è diverso rispetto al passato e diventa molto più complicato gestire una realtà calcistica in un campionato come la serie C, che prevede esborsi economici non indifferenti. Dopo aver di nuovo sottolineato, se ce ne fosse ancora bisogno, gli errori che sono stati commessi in questa stagione, e sono stati diversi, è bene quindi tornare con i piedi per terra. Come ho ricordato in un recente articolo che ha fatto molto discutere, la Lega Pro non è un diritto acquisito, se si ha la possibilità di affrontarla bene, altrimenti si torna in un campionato più abbordabile dal punto di vista economico. Quando c’è una retrocessione è però molto importante gestirla nel migliore dei modi. Se il Montevarchi, come ormai sembra, il prossimo anno dovesse tornare a giocare in Serie D, sarebbe auspicabile allestire una squadra competitiva che se la possa giocare per posizioni di vertice. Vivacchiare a metà classifica potrebbe essere una mazzata definitiva al già evidente calo di interesse che contraddistingue il cosiddetto “calcio locale”. E non sarà facile, perché ci sarà da ricostruire un’intera squadra e soprattutto da ricreare un entusiasmo che inevitabilmente è destinato a calare. In ultimo mi soffermo su uno scambio di opinioni, molto accese direi, che si è scatenato sui social tra un dirigente dell’Aquila e un ex collaboratore su come è stata gestita la vicenda Malotti. Io credo che in un mondo come quello del calcio, nel quale spesso gli affari e i risultati montano in testa ai valori e ai rapporti personali, non aver licenziato un allenatore che aveva evidenti problemi di salute, ma aver fatto di tutto per supportarlo fino al termine sia stato un gesto di rara umanità e bellezza. Si doveva scegliere tra i risultati e la riconoscenza. Il Montevarchi Calcio ha ha scelto la riconoscenza e secondo me ha fatto bene.