martedì, Giugno 6, 2023

Inizia oggi, con cadenza quindicinale, una rubrica della nostra redazione sportiva che vuole raccontare la storia di personaggi dello sport valdarnesi o legati al Valdarno. Sport a 360 gradi, vissuto appieno da uomini e donne. Partiamo questa domenica con Attilio Sorbi, nato a Cortona il 7 febbraio 1959 ma legato a doppio filo al nostro territorio, avendo giocato nell’Aquila Montevarchi e poi allenato i rossoblù e la Sangiovannese. Sorbi, nella stagione 1980-1981, fece il suo esordio in Serie A con la Roma di Nils Liedholm e l’anno successivo si trasferì al Pisa, dove conquistò la promozione in Serie A. Ha vestito poi le maglie di Padova e Bologna in Serie B. Da allenatore Ricordiamo anche la sua recente e prestigiosa esperienza nella squadra femminile dell’Inter.

Come è nata la sua passione per il calcio?

Come è nata non lo so, so solo che fin da bambino il calcio è stato protagonista della mia vita. Ho sempre giocato principalmente a calcio, decidevamo noi ragazzi dove e come giocare. Non saprei dire quando è iniziata, so solo che è sempre stata una passione. La mia fortuna è stata che il gioco è diventato una professione. 

Come è iniziata la sua carriera calcistica?

Ho fatto le giovanili nel Cortona. Per essere tesserati dovevamo avere 12 anni compiuti, fino ad allora ho giocato in alcuni spazi con i miei amici e una volta compiuti siamo andati al Cortona, che militava in serie D. Siamo entrati nel NAGC, nucleo addestramento giovani calciatori, dove sono rimasto fino ai 16. Poi il mio arrivo al Montevarchi. C’erano delle selezioni e io fui selezionato. L’Aquila mi acquistò,  quell’anno disputava la serie C a tre gironi, un campionato molto importante a quei tempi.  A Montevarchi sono stato 4 anni. Sono arrivato in prima squadra dopodiché fui ceduto alla Ternana. In Umbria ho fatto un anno in serie B. Ero in comproprietà e alla fine del 1980 il Montevarchi mi ha riacquistato completamente per cedermi alla Roma. In giallorosso sono stato 7 mesi infortunato, è stato un periodo complicato ma al contempo è stato la realizzazione di un sogno. 
Il ricordo più nitido è quello del mio esordio. Prima di esordire in serie A sono subentrato in una partita di coppa delle coppe (la Roma aveva vinto la coppa Italia)  contro una squadra della Germania dell’Est che si chiamava Carl Zeiss Jena. Era sera e all’Olimpico c’erano 80/85 mila persone, vincemmo 3-0 e fu per me un momento incredibile.

Come era giocare in quella Roma? 

Quella Roma era una delle più forti di sempre, si preparava per vincere il campionato e quindi per competere con la Juventus che era la squadra dominante. Era l’anno dell’apertura agli stranieri e quell’anno la Roma acquistò uno dei calciatori più forti che arrivarono in Italia,  Paulo Roberto Falcão. Ho avuto la fortuna di giocare con lui ed è stato un qualcosa di straordinario, non solo come giocatore, che era geniale, ma anche come persona e come uomo. Sicuramente è il calciatore più forte con cui ho giocato, insieme a  Bruno Conti, che nell’82 aveva vinto il mondiale. Era una Roma molto forte e allenata da Nils Liedholm, uno dei più grandi maestri di calcio. 

Una delusione sportiva che le va di raccontare?

Le delusioni sono molte. In linea generale, tranne i calciatori di altissimo profilo o le squadre come il Milan di Sacchi o di Capello o la Juve di Conte e di Allegri, che sono élite molto piccole, le delusioni ci sono e fanno parte del gioco. Io ho avuto una gioia immensa col Pisa in serie A quando ci siamo salvati alla penultima giornata a Torino, dove ho fatto goal, una gioia grande quanto quella dell’esordio. Nel contempo l’anno successivo siamo retrocessi e quella è stata una grandissima delusione. Anche gli infortuni sono momenti di grande delusione e difficoltà, ma sono anche momenti di grande crescita.

Ci sono degli avversari che ricorda in particolare? 

Nella mia carriera ho avuto dei grandissimi avversari, molti dei quali di grande lealtà e correttezza. Ricordo una partita col Pisa, in casa contro l’ Udinese, in cui un mio compagno di squadra colpì la palla di testa all’indietro per passarla al portiere pensando che fosse lontano invece, essendo vicino, fece autogol. In quel preciso istante a Udine giocava uno dei giocatori più forti del mondo, Zico. Ho visto una scena di una bellezza unica. Zico, invece di esultare, andò dal mio compagno per abbracciarlo e consolarlo. Un gesto molto bello da parte di un grande campione. Credo che queste cose andrebbero fatte vedere ai giovani per avvicinarli al calcio e alla correttezza. 

Lei ha avuto una lunga carriera da allenatore, come ha iniziato?

L’ultimo anno di carriera da calciatore l’ho fatto alla Rondinella dove, dopo essermi rotto un ginocchio, feci l’ allenatore – giocatore. Dopo pochi mesi andai alla Sangiovannese. Ho fatto l’allenatore per 14/15 anni in serie e in serie C, sono stati anni che mi hanno formato sotto tanti aspetti. Nel 2007 sono entrato a far parte del staff della “Docenza Federazione Gioco Calcio” nel settore tecnico, per poi andare a  fare corsi agli allenatori. Questo mi ha aperto un nuovo orizzonte, mi ha permesso di essere sempre aggiornato sul calcio e di girare l’Europa e il mondo. Nel 2017 il direttore della scuola allenatori mi dice che devo andare a collaborare con la nazionale femminile che veniva da un europeo nel quale non aveva fatto bene. Siamo arrivati a fare i Mondiali in Francia dopo 20 anni di assenza e arrivando fino ai quarti di finale, una grandissima soddisfazione. In quel periodo mi chiama poi  l’Inter, che voleva fare qualcosa di importante per il calcio femminile e decisi di andare. Erano gli anni del covid ed è stato un periodo complicato.

Quali sono le differenze tra il calcio maschile e femminile?

L’unica differenza è il genere, il calcio è il calcio, una volta per tutte dobbiamo togliere le discriminazioni anche da questo mondo. É chiaro che donne e uomini danno risposte diverse, gli uomini sono più forti e veloci, ma negli ultimi 15 anni il calcio femminile ha avuto anche in Italia un picco di ascesa incredibile. Tuttavia rispetto al nord Europa o alla Spagna siamo ancora indietro. Anche in Italia, però, ci sono stati dei progressi straordinari. Nel 2017 non si arrivava a 22mila iscritte oggi siamo a più di 40mila. Le donne sono diventate professioniste, cosa che sarebbe dovuta avvenire prima.

 Il calcio femminile crescerà ancora?

Tutto dipende dagli investimenti che faranno le società. Io mi auguro di si. É stato abbattuto un tabù, soprattutto dai genitori e questo è sintomo che la società sta cambiando, oggi ci sono molti meno problemi. Le opportunità vanno date a chiunque. 

Un consiglio per i giovani che si approcciano allo sport?

Il consiglio è quello di portare a termine lo sport, non è vincere l’obbiettivo, è quello di stare bene con se stessi, con i compagni e con l’allenatore.

Quanto conta il talento e quanto il duro lavoro?

Il talento fa parte del DNA. C’è un detto che dice “ Se vuoi diventare un campione ti devi scegliere i genitori” questo chiaramente non è possibile, ma il talento conta sicuramente. Il talento senza il lavoro pero è sprecato; questo cresce con il lavoro, con l’allenamento quotidiano, con il sacrificio e con la dedizione; elementi imprescindibili se si vogliono raggiungere degli obbiettivi. Arrivare in serie A e rimanerci è molto complicato, è un mondo che vive di false illusioni, molti illudono i ragazzi e non solo, anche i genitori, che è anche peggio. Per togliersi delle soddisfazioni ci vuole tempo e sacrificio, nel percorso ci sono ostacoli difficili che vanno affrontati e superati. Solo così si possono conquistare gli obbiettivi e che se non saranno quelli prefissatiti, saranno sicuramente quelli di diventare una persona per bene. E noi abbiamo bisogno di persone per bene.